ZIPPORI (Israele)
IL MOSHAV di Sephoris - Zippori, in ebraico - sorge a pochi chilometri di distanza dalla spianata desertica che conduce a Nazareth, Galilea. Ed è come sempre un esempio dei miracoli che gli ebrei in meno di cent'anni dal loro arrivo nella Terra Promessa sono riusciti a compiere: ti lasci alle spalle, assieme all'autostrada, il nulla divorato dal caldo e dalla siccità e ti addentri in una comunità di coltivatori e allevatori vasta quanto un quartiere. E dove, fra una villetta e l'altra ordinate come in una periferia americana, esplodono bouganville, siepi rigogliose, alberi da frutto, maneggi.
Ancora un po' più su, lungo un sentiero semisterrato ed ecco che in cima alla collina si spalancano le porte del convento delle Figlie di Sant'Anna. Le Figlie in questione sono le suore missionarie italiane presenti fin dal 1923, quando questa era solo e soltanto Palestina abitata da arabi e Sephoris - tradizione vuole siano nati e vissuti qui i genitori della Madonna, Anna e Gioacchino - una delle più importanti aree archeologiche romane. Luogo di meditazione e preghiere? Macché! Una settantina di bambini e bambine israeliani di origine palestinese, in età scolare alle prese con partite di calcio, musica, lezioni e litigi che non mancano mai soprattutto fra ragazze in piena crisi adolescenziale, rendono fin troppo piene le giornate di suor Clementina, suor Hana, suor Rosa, suor Maria e suor Annarosa. Al punto che è già tanto se le cinque missionarie riescono a dir messa all'alba quando l'esercito delle pesti dorme.
SI, PERCHÉ IL CONVENTO, da qualcosa come novant'anni, è in realtà un orfanotrofio che prende in affido i bambini portati via dai tribunali dei minori a genitori pure loro in crisi: chi in carcere, chi in un centro per tossicodipendenti. O chi, più semplicemente, troppo povero per mantenerli o malato. Con questa banda di simpaticissimi scalmanati, e di quattordicenni ormai già donne fatte e finite, figuriamoci se le suore hanno tempo per pensare ad altro arrivate a sera.
Figuriamoci se arrivano a concepire che un bel mattino si presentino due ispettrici del ministero degli Affari Sociali a dare un'occhiata ai locali per uscirsene con un ultimatum che suona perentorio: «Quella cucina, per non dire del resto della struttura, è fuori norma, pericolosa, insicura. O la sostituite entro sei mesi o dovremo dichiarare inagibile l'istituto». E' la primavera del 2009 quando alle missionarie crolla il mondo addosso.
Chiudere? E dei bambini, che ne sarà? «Ci siamo affidate alla Provvidenza» racconta col sorriso la madre superiora. La Provvidenza prende le vesti di Elena Fazzini. «Un giorno mi é arrivata una telefonata inaspettata della superiora. Mi racconta ciò che sta per succedere. Ho pensato che quel luogo speciale non poteva, non doveva chiudere». Inimmaginabile vedere distrutto un istituto che per giunta collabora con un ente governativo, offrendo un supporto essenziale a bambini in massima parte arabi.
Lo smarrimento dura poco. Elena, quarant'anni, milanese d'adozione, veneziana d'origini, attraverso la sua fondazione "Hope Onlus" chiama a raccolta mezzo nord Italia.
DUE ANNI DI LAVORO lungo un fil rouge che unisce Milano a Sephoris, Gerusalemme a Roma passando da Pordenone. È infatti nella città friulana che si apre uno spiraglio: nel marzo 2010 il colosso di elettrodomestici Electrolux mette a disposizione una cucina professionale fatta su misura per il convento. Nel frattempo un intenso lavorio fra le due ambasciate - quella israeliana in Italia, quella italiana a Tel Aviv - cerca di spianare pastoie burocratiche e noiose questioni che vanno dai brevetti all'Iva a qualche piccola diffidenza "anticristiana" finita per caso fra le righe di carte bollate, lettere e mail.
L'operazione da mezzo milione di euro va in porto questa estate: la cucina nuova di zecca arriva ad Haifa a giugno. Ad attenderla le ispettrici, Elena e ovviamente le cinque suore. Perché questa alla fine è proprio tutta una storia di donne. Cui si aggiunge anche la moglie dell'ambasciatore italiano, Stefania Mattiolo. «Quando è venuta alla festa si è innamorata del luogo e della nostra battaglia, e ci ha promesso di coinvolgere tutte le persone che conosce in Israele, poiché ora c'è un'altra emergenza che incombe: il completo rifacimento dei locali al piano superiore».
LA FESTA - Anche l'ambasciatore italiano mobilitato nella gara di generosità. E i bimbi ebrei portano doni ai loro coetanei palestinesi.
Il 9 ottobre, nel fine settimana di Yom Kippur, la grande inaugurazione. C'è il rappresentante di Electrolux Pasquale Esposito, uno dei loro migliori chef, Silvano Costantini, venuto appositamente per insegnare alle suore come usare la cucina, a preparare il buffet e a divertire i bambini con i suoi topini di cioccolato. Difficile, impossibile capire chi sia più emozionato: le suore? I bambini? Le ragazze che s'improvvisano cameriere e ballerine? L'ambasciatore italiano quasi con le lacrime agli occhi? La dolcissima madre superiora, suor Maria, adorata dalle teenager che la chiamano con affetto "superiora" con un divertentissimo accento arabo? Fuori dai confini del convento non si muove foglia. Ma dentro e in giardino si canta, si balla e si beve.
E si produce un altro miracolo in questa calda domenica d'autunno oltre a quello delle bouganville in fiore. I bambini ebrei del Moshav portano dei regali ai loro coetanei: caramelle, dolci, bici, bambole.
In novant'anni non era mai accaduto.